Diritti e Doveri

Pubblico Impiego e riparto di giurisdizione: questioni problematiche in materia concorsuale

di Gabriella Longo
gabriella982@hotmail.com
martello-bilanciaL’evoluzione storica della materia del pubblico impiego è stata da sempre caratterizzata da un andamento mutevole, legato all’esigenza di fornire un’adeguata tutela ad un diritto primario qual è il diritto al lavoro, che trova il suo referente normativo tanto tra i principi fondamentali della Costituzione, art.1 co. 1 e l’art. 4 co. 1., quanto nella sezione dedicata ai rapporti economici, art. 35 e seguenti.
Parimenti va considerato l’art. 97 Cost., nella sezione titolata “La pubblica amministrazione”, specificamente dedicato al pubblico impiego, sullo sfondo del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.
L’intento legislativo è quello di rispondere in modo efficiente ed efficace alle esigenze emergenti dai sempre diversi contesti economico-culturali della società, al fine di superare i rischi di una obsolescenza della legge.
Una ricostruzione in senso diacronico del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione consente di delineare in maniera compiuta e motivata i problemi che sono emersi sul piano del riparto di giurisdizione, tanto nell’ipotesi di rapporto di lavoro privatizzato che non privatizzato.
Effettuata questa distinzione, è opportuno soffermarsi sull’ipotesi da sempre dibattuta, della mancata assunzione, differenziando il contesto e la posizione soggettiva di idoneo vincitore e idoneo non vincitore.
In ultima analisi l’inquadramento del riparto consente di pervenire all’individuazione di quelle tecniche di tutela azionabili a fronte di una posizione giuridica soggettiva lesa.
Preliminarmente è necessaria la precisazione in ordine alla imprecisa formulazione tecnica del riferimento al pubblico impiego privatizzato.

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Cassazione: legittimo il licenziamento per assenze "a macchia di leopardo"

licenziatodi Licia Albertazzi – Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 18678 del 4 Settembre 2014. Quando è legittimo licenziare un dipendente per assenza reiterata causata da malattia? A tutela del lavoratore esiste nell’ordinamento il limite del c.d. periodo di comporto, al di sotto del quale, previa idonea giustificazione medica (ove richiesto dalla legge), il lavoratore non può essere destinatario di licenziamento per giustificato motivo.
“Tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), è soggetta alle regole dettate dall’art. 2110 cod. civ.”. Tale periodo è predeterminato per legge, fissato dalla contrattazione collettiva o dagli usi, o ancora, in assenza di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa.
Il mero superamento di questo limite, tuttavia, è di per sé condizione sufficiente a giustificare il recesso del datore di lavoro, “nel senso che non è necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse”.
Nel caso di specie ricorre il lavoratore licenziato, licenziamento intervenuto per continue assenze “a macchia di leopardo”, malattie brevi e reiterate, concentrate prevalentemente in periodi a stretto contatto con ferie, altre festività e giorni di riposo del lavoratore. Tanto che tali assenze, nel complesso, hanno dato causato l’insufficienza della prestazione lavorativa in termini di efficienza e di raggiungimento degli obiettivi aziendali, nonché pregiudizievole per la stessa organizzazione d’impresa.
La Suprema corte, nel rigettare il ricorso, ha pronunciato il principio di diritto secondo il quale “in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice – che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi e indiziari, l’effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto”.
E’ quindi legittimo il licenziamento irrogato al lavoratore per evidente violazione della diligente collaborazione per causa dovuta allo stesso dipendente.
Fonte: www.StudioCataldi.it

Codice del Consumo

codice-consumoIntrodotto con il D.lgs. n. 206 del 6 settembre 2005, a norma dell’art. 7 della l. delega n. 229/2003, in attuazione di una serie di direttive dell’Unione Europea, il Codice del Consumo rappresenta un fondamentale traguardo nella tutela dei consumatori.
Con l’ingresso del Codice del Consumo, il legislatore ha provveduto a riunire sotto un’unica disciplina organica tutte le norme vigenti in materia, armonizzandole con quelle esistenti nel diritto comunitario, nel segno della semplificazione e del coordinamento.
Grazie all’autonomo rilievo conferito alla figura del consumatore e alla previsione di una serie di strumenti concreti di tutela, il testo rappresenta una pietra miliare nel riconoscimento dei diritti dei consumatori, con la finalità primaria di rafforzarne la protezione, quali parti più deboli dei rapporti di consumo.

L’obiettivo della legge è, difatti, la tutela più ampia dei diritti dei consumatori, sia come singoli che come associazioni, nelle relazioni con gli operatori commerciali, estesa a tutte le fasi del rapporto di consumo, dalla pubblicità all’adeguata informazione, dalla qualità alla sicurezza dei prodotti e dei servizi, dalla correttezza e trasparenza contrattuale alle clausole abusive, sino all’accesso alla giustizia, con forme ed azioni finalizzate ad esercitare in concreto la tutela dei singoli diritti sanciti anche attraverso la c.d. “class action”, cioè l’azione collettiva finalizzata all’ottenimento del risarcimento del danno in capo al gruppo di consumatori danneggiati da un medesimo evento lesivo.

Il Codice si suddivide in 6 parti articolate per categorie tematiche.
Nella prima vengono enunciati i diritti fondamentali tutelati e le finalità del Codice stesso, oltre alle definizioni di consumatore e professionista (artt. 1-3); nella seconda, sono dettate le norme in materia di educazione, informazione e pubblicità (artt. 4-32); la terza parte è dedicata alla disciplina contrattuale dei rapporti di consumo (artt. 33-101); nella quarta, invece, sono contenute le norme in materia di sicurezza e qualità dei prodotti e di responsabilità del produttore per gli eventuali danni cagionati (artt. 102-135); la quinta parte è relativa alle disposizioni inerenti le associazioni dei consumatori e ai giudizi che le stesse sono legittimate a promuovere nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi (artt. 136-141); la sesta e ultima parte, infine, concerne una serie di disposizioni finali (artt. 142-146), tra le quali rileva l’art. 143 che definisce irrinunciabili i diritti riconosciuti ai consumatori dichiarando nulla ogni pattuizione in contrasto con le disposizioni del codice.

Leggi il Codice del Consumo Edizione 2014

A quale tribunale deve rivolgersi il dipendente pubblico in caso di contenzioso con l'Amministrazione? TAR o Tribunale del Lavoro?

dirittoLa pronuncia in esame del Consiglio di Stato conferma l’orientamento consolidato secondo il quale la tutela giurisdizionale inerente al rapporto di lavoro di un pubblico dipendente può esplicarsi davanti al giudice amministrativo quando venga impugnato direttamente un atto di macro-organizzazione, che si assume autonomamente lesivo, e davanti al giudice ordinario quando il dipendente contesta l’atto di gestione, applicativo o consequenziale rispetto a quello organizzativo.

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I permessi retribuiti (art. 19 del CCNL del 6 luglio 1995)

ccnlLa concessione al dipendente di permessi retribuiti è disciplinata in modo puntuale e rigoroso dall’art. 19 del CCNL del 6 luglio 1995.
Si tratta di varie ma specifiche ipotesi, ciascuna caratterizzata da una propria particolare motivazione giustificativa e da una precisa durata temporale, in presenza delle quali il dipendente può legittimamente assentarsi dal lavoro senza alcuna decurtazione del trattamento economico.
In base a tale disciplina, il dipendente ha diritto a permessi retribuiti per i seguenti motivi:
a) lutto;
b) matrimonio;
c) partecipazione a concorsi o esami;
d) particolari motivi personali o familiari.

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